Sarzana, che Botta!

« È anzitutto alla casa di abitazione che occorre rivolgere la massima cura. Se gli uomini vivessero veramente da uomini, le loro case sarebbero dei templi »

Mario Botta, citando Ruskin


Degrado ambientale e disagio sociale: un libro di Silvia Minozzi e Roberto Mazza

L’ambiente in cui viviamo, bello o degradato, naturale o costruito, influisce sul nostro benessere psicofisico? E in quale modo, con quali conseguenze? Su queste domande Silvia Minozzi e Roberto Mazza, due fondatori del nodo di La Spezia e Val di Magra del Movimento Stop al Consumo di Territorio, hanno avviato una riflessione con un agile libro dal titolo eloquente “Psico(pato)logia del paesaggio” e dal sottotitolo ancora più esplicativo: “Disagio psicologico e degrado ambientale”, pubblicato da Erreci Edizioni (Potenza). Silvia Minozzi è un medico epidemiologo e svolge attività di ricerca sulla efficacia degli interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi dei pazienti tossicodipendenti e alcol-dipendenti. Roberto Mazza è psicologo e psicoterapeuta, docente di Psicologia Sociale e di Servizio Sociale nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Pisa. Dall’unione tra le loro attività professionali e il comune afflato sociale a tutela dell’ambiente e del paesaggio, nasce il libro, attraverso il quale gli Autori si addentrano nei misteri del rapporto – forse ancora poco indagato – tra uomo e natura, tra habitat e benessere, ragionando, secondo il pensiero di Gregory Bateson, di “contesto”: cioè della matrice dei significati comunicativi, la cornice in cui si riconoscono le comunicazioni in cui si acquisiscono le interazioni sociali e su cui poggia l’intera esperienza umana. Lo scritto cerca di rispondere (e di farci rispondere) ad alcune pressanti domande dell’oggi: quali saranno le conseguenze della “saturazione costruttiva” anche in aree paesaggisticamente eccellenti? Quali i cambiamenti nei costumi, negli stili di vita della popolazione? Quali mutamenti per la salute fisica e psichica degli individui ?

Domande sempre più epocali ed indifferibili, data la crescente omologazione di spazi urbani e non urbani che appiattiscono le differenze e formano le “villettopoli” o i “capannonifici” senza anima e senza vita vera, i nonluoghi di Marc Augé: “spazi in cui centinaia di individui si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane, spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali,storici“.
Minozzi e Mazza individuano nello stress da alienazione del paesaggio, da perdita delle origini, dei luoghi, dal non riconoscersi più in un contesto, uno dei punti più alti del disagio sociale. E si soffermano sulla tesi secondo cui la crescita psichica dell’individuo è sempre connessa al suo abitare in un ambiente favorevole allo sviluppo dei processi maturativi innati. Non a caso, il primo nostro ambiente/spazio costruito è la madre: il neonato “abita” il corpo materno e la madre è una “madre-ambiente”. O, per dirla con Heidegger, l’uomo abita per mantenere un’identità individuale all’interno di una comunità complessa e costruita da chi ci ha preceduto.

Non mancano i dati derivanti da molti studi internazionali dedicati alla relazione tra disagio psichico e ambiente sociale, che indicano come nelle aree urbane la schizofrenia risulti più che doppia rispetto alle aree rurali e porti con sè fenomeni come anoressia, bulimia (la cui incidenza è 2/5 volte superiore nelle grandi città rispetto alle aree rurali), psicosi, depressioni, abuso di sostanze stupefacenti. Dagli studi emerge che le persone che vivono in abitazioni dalle cui finestre si scorgono alberi, appaiono più soddisfatte della loro abitazione rispetto a quanti convivono con panorami privi di verde o, addirittura, con “semplici” prati senza alberi.

Dietro a questa negazione esistenziale, c’è sempre la cultura, che gli Autori definiscono “una cultura dell’abuso al territorio” paragonabile all’abuso ai bambini. «Gli adulti “non protettivi” – dicono Minozzi e Mazza – cosa fanno quando vengono accusati di un reato commesso o quando si cerca di ricostruire gli eventi traumatici ? Attivano la negazione, negano la responsabilità: Non sono stato io/sono stato costretto. Non è vero. Non è stato così grave. Non avevo coscienza del danno che avrei prodotto. Tutte modalità riconoscibili anche negli amministratori responsabili di aver concesso permessi per la cementificazione di aree del territorio vergini, di luoghi protetti: Non ero in carica quando il progetto è stato approvato. Era tutto lecito. Il progetto non danneggia il territorio o non in modo così grave».

Come se ne esce ? L’impegno di Silvia e Roberto nel Movimento rappresenta già una prima risposta: per imboccare il cambiamento occorre impegnarsi in prima linea, “metterci la faccia”, dedicarsi al “bene comune” ed alla sua affermazione come valore assoluto.

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lunedì, 24 ottobre 2011

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1 commenti per “Degrado ambientale e disagio sociale: un libro di Silvia Minozzi e Roberto Mazza”


  1. Anch’io ho sotentuto in un mio libro l’importanza sul benessere



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