Sarzana, che Botta!

« Il diritto alla città non è soltanto un diritto all’accesso di quanto già esiste, ma il diritto di cambiarlo. Noi dobbiamo essere certi di poter vivere con le nostre creazioni. Ma il diritto di ri-fare sé stessi attraverso la creazione di tipi qualitativamente differenti di socialità urbana è uno dei più preziosi diritti umani »

Harvey(2003)


Italo Insolera: burocrati e costruttori decidono lo sviluppo urbano

Sarzana ordinata?

Sarzana ordinata?

Articolo di Francesco Erbani – (apparso su La Repubblica il 13 aprile 2010).

Italo Insolera ha ottantun anni, è uno dei padri della disciplina che regola o dovrebbe regolare la città, ma che spesso si limita a descrivere il suo formarsi e il suo divenire, lasciando che tutto lo spazio sia occupato dalle mirabolanti invenzioni di architetti-scultori.
Si rigira fra le mani Roma, per esempio. La città e l´urbanista (Donzelli, pagg. 135, euro 25), un libro che raccoglie un gruppo di suoi saggi usciti negli ultimi cinquant´anni su varie riviste, da Il Veltro a Comunità. Lo sfoglia e dice: «Sono riflessioni sulle vicende romane, che poi sono esemplari di come negli ultimi cinquant´anni sono cresciute le città italiane. La storia di questo mezzo secolo è in gran parte il ripetersi degli stessi avvenimenti con una crescente carica polemica che rivela il persistere dei vecchi problemi».

E l’urbanistica?

«L´urbanistica? È ormai figlia dell´architettura. E l´architettura, ridotta a pura forma, assorbe tutto il dibattito culturale. Tutto lo spazio dell´informazione. Diventa il paradiso delle archistar. Si bada più al singolo progetto che non al disegno complessivo. Più al singolo manufatto che non alla città. Più all´individuo che non al collettivo. Occorre invece che l´urbanistica recuperi la sua linfa sociale».

In questo mezzo secolo le nostre città sono peggiorate?

«Dagli anni Ottanta, proprio mentre perdono residenti, le città crescono sprecando terreno e soldi. È saltata ogni forma di pianificazione, per cui si invade la campagna e gli insediamenti che sorgono sono agglomerati di case tirate su a prescindere da tutto, dai servizi, le scuole, i trasporti, il commercio. I beni comuni sono sempre residuali, sono il prodotto occasionale una volta realizzate tutte le parti private, quelle che danno rendita».

Da che cosa dipende questa espansione senza limiti?

«Dal fatto che non si pianifica più, indipendentemente da chi governa le città. La pianificazione è l´attività specifica dell´urbanistica ed è insieme iniziativa sociale, economica, commerciale, investe tante componenti, non solo quella edilizia. E invece la trasformazione delle città non è affidata né all´urbanistica e neanche all´architettura, ma, appunto, all´edilizia. Però c´è anche un altro aspetto».

Quale?

«Negli anni Cinquanta e Sessanta i partiti, la Dc, il Pci, il Psi, il Pri, avevano idee sull´urbanistica. Ne discutevano al loro interno, organizzavano convegni e litigavano. Ora la politica ha smesso di avere un´opinione in materia urbanistica, lasciando spazio a una burocrazia che ha assunto funzioni esorbitanti e con la quale gli investitori privati, i costruttori, gli immobiliaristi intrattengono rapporti troppo discrezionali. Albert Einstein diceva nel 1937: “La burocrazia ucciderà la democrazia”».

È una malattia tipicamente italiana, sembra di capire.

«In tutta Europa ci si è mossi in questi decenni e ci si muove tuttora in altro modo. Le grandi trasformazioni delle città sono controllate, in maniera più o meno consistente, dalla mano pubblica. Il criterio prevalente continua a essere l´acquisto da parte delle amministrazioni dei terreni e la cessione ai privati del diritto a costruire. In questo modo urbanistica e architettura possono viaggiare di concerto. E anche le archistar si sottopongono a queste regole. Ma non mancano in Europa le eccezioni negative, basti vedere che orrori si sono compiuti sulle coste spagnole o francesi».

Ma complessivamente l´Italia resta un´eccezione.

«Direi di sì. Prenda il quartiere di Slotermeer, ad Amsterdam, una delle realizzazioni più celebri programmate a partire dalla metà degli anni Trenta del Novecento. Ho sempre pensato che la buona riuscita di un progetto urbanistico la si dovesse giudicare alla terza generazione. Ora che a Slotermeer chi andò ad abitarci è diventato nonno, si può verificare che il quartiere funziona perfettamente, com´era stato urbanisticamente immaginato, dalle strade alle fermate per i tram, dai laghi ai boschi».

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Data
giovedì, 15 aprile 2010

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