Sarzana, che Botta!

« Quando il cittadino è passivo è la democrazia che s’ammala »

Alexis de Tocqueville


D’Alto: Perché salvare il Vecchio Mercato

Dal professor Silvano D’Alto abbiamo ricevuto questo interessante parere, che volentieri pubblichiamo e che abbiamo provveduto a  inoltrare, assieme a quello del professor Pietro Ruschi, alla direzione regionale dei Beni Culturali.

Ci stupisce il silenzio di quegli intellettuali spezzini che hanno addirittura scritto su Cesare Galeazzi, il più insigne architetto spezzino del dopoguerra, progettista dell’immobile di piazza Terzi.vecchio_mercato_3

Ecco lo scritto del professor D’Alto.

<<Espongo brevemente alcune ragioni che sconsigliano vivamente la demolizione del Mercato di Piazza Terzi:

il concetto di ‘recupero’ di un’area urbana, dove ancora si conserva un forte ‘segno’ della storia della città: il Vecchio Mercato all’ingrosso di Sarzana sorge nell’immediato dopoguerra in concomitanza con la nascita della Repubblica (la delibera del Consiglio comunale è del 15 maggio 1946, la Repubblica nasce il 2 giugno).  La scelta del luogo in cui edificare il Mercato avviene – quasi in omaggio al nuovo spirito democratico della Repubblica – con una particolare procedura di votazione segreta da parte del Consiglio comunale che, nella scelta tra Piazza Martiri, Piazza Veneto e piazza Terzi, preferisce quest’ultima. Così la determinazione del luogo si rivela fin dagli inizi un momento partecipato, un riconoscimento di una identità più complessa e organizzata. Il luogo ne ricava una sua peculiarità simbolica.

Oggi il Vecchio Mercato è una  struttura dismessa da tempo nelle sue funzioni originarie ma, proprio per quella che fu una eminente centralità di luogo urbano, ogni decisione in merito richiede attenzione e lungimiranza nell’elaborare il rapporto tra memoria del passato e progetto di futuro;

la dignità architettonica del manufatto originario. Si tratta di un edificio lungo 49,40 metri  e largo, al piano di base, 42 metri con un corpo centrale più stretto e alto che emerge e si eleva per tutta la lunghezza su una doppia fila di pilastri in cemento armato, sui quali si imposta,  tramite una trave di bordo, una ampia copertura a volta, ad arco ribassato. La copertura è formata  – per quanto è dato intuire – da file contigue di casseri in laterizio con interposte nervature in cemento armato (o soluzione analoga). Nella sommità centrale della convessità vennero ricavate delle asole (strisce vuote)  a formare una sequenza di lucernai, oggi tamponati con laterizi.

Una serie di catene a doppio tirante legano alla base gli estremi della volta in funzione  statica (la luce è ragguardevole: 22,30 metri).

L’intradosso della volta appare dunque dal basso come una superficie liscia e continua che oggi va perdendo la intonacatura di cemento. La misurata, distesa, convessità della volta definisce così lo spazio del mercato, con un senso raccolto di unità e di comunità. Una soluzione tecnicamente semplice ma interessante e coraggiosa, molto efficace dal punto di vista spaziale. Una soluzione che ha fatto virtù della povertà di risorse dell’epoca. Il manufatto infatti venne realizzato con i fondi della disoccupazione.

I fianchi laterali del corpo centrale dell’ edificio, espandendosi all’esterno in una sorta di corpi aggiunti, formavano gli stalli per la conservazione delle merci.

Nel progetto originario una teoria di finestre si apre (ancora si mantiene) sia sulla parte superiore delle pareti tra i pilastri, sia nei corpi in aggetto al piano inferiore, dove ogni stallo ha la sua finestra (finestre trasformate nelle modifiche del 1959 in porte con saracinesca). Si tratta di un doppio ritmo di aperture che rendevano molto luminoso – insieme ai lucernai superiori – lo spazio del Mercato.

Nel progetto si scorge dunque l’idea di uno spazio di vita vivace e festosa: un mercato appunto, luogo di commerci intensi, di scambi e di incontri. Oggi lo spazio centrale è utilizzato come pista di pattinaggio e altri sport, mentre gli antichi stalli hanno destinazione per servizi vari, di tipo culturale. Nel complesso il manufatto è in grave degrado, lascia una impressione di pesantezza a causa delle chiusure laterali che lo impoveriscono spazialmente;mercato_interno_1

–  la posizione urbanistica: si direbbe perfetta nel corpo della struttura urbana, perché il mercato si struttura spazialmente su una strada interna in asse con via Terzi, un breve viale di tigli che idealmente prosegue nel mercato. Questi mercati comunali, a spazi ampi, non erano infrequenti nel dopoguerra e oggi rivelano quel clima di ripresa di vita sociale e di festa con l’aprirsi di un’epoca di pace. Ma sono anche un segno della prevalenza, a quell’epoca, del mondo rurale

Il mercato all’ingrosso di Piazza Terzi, costruito al margine della città ma fuori della cinta muraria, segue quasi per un istinto di libertà, e non solo di funzionalità, una localizzazione ben nota nella lunga tradizione della città dell’Occidente, che pone uno dei suoi mercati – quello di più controversi diritti – al confine tra città e campagna.  Il Mercato di Piazza Terzi era una cerniera non solo tra città e campagna, ma tra città confinanti: riforniva i mercati di Spezia e Carrara con il trasporto delle merci (frutta e prodotti orticoli) tramite la vicina stazione ferroviaria. Le testimonianze ci dicono (vedi blog “Sarzana, che Botta!”) della vivacità di quel luogo, momento centrale di una intensa pratica di vita urbana.

Ma a questo punto la riflessione si deve allargare in considerazioni più ampie. Sarzana è una città dove il mercato è perfettamente integrato con il suo essere città. La dimensione mercantile appartiene alla storia di Sarzana: crocevia e nodo commerciale tra le aree della Lunigiana e del Parmense, di Spezia, di Carrara, di Lucca e Valdera (nella strada romana Sarzanese-Valdera). Nel corso della sua storia Sarzana ha fatto dei commerci un centrale punto di sviluppo della sua economia e della sua crescita urbana e rurale. Il rapporto città-campagna è stato il fattore fondante sia della sua storia urbana che rurale: rapporto fertile di scambi vivaci e produttivi – fonte di ricchezza e di vita comunitaria – nel quale la città ha fatto valere il suo aristocratico dominio sulla campagna.

Tutto ciò ha portato a configurare una particolare cultura della città, espressa nelle frequenti pratiche di mercato che si sviluppano nel corso dell’anno: in particolare nella lunga tradizione del mercato del giovedì che richiama grandi quantità di popolazioni dai comuni limitrofi e dalla piana, in una pacifica aria di festa che testimonia il valore del mercato come luogo di incontro e di vivacizzazione degli spazi urbani.mercato_interno_2

L’edificio Mercato di Piazza Terzi sorge oggi – malgrado il degrado in cui si è lasciato cadere – come un landmark di una storia ampiamente vissuta: ossia come punto di riferimento, luogo storico, epocale, che fa la storia di quel rapporto tra città e campagna.

Oggi Sarzana ha perso i segni di quell’antica stagione di mercati coperti: il mercato di piazza San Giorgio, bella e ariosa copertura in ferro, è stato demolito per fare posto ad un parcheggio. La progettata demolizione dell’ex  Mercato ortofrutticolo configura la perdita di un segno urbano forte e ormai unico nel suo genere, che richiama quella storia: storia importante, che oggi il processo di urbanizzazione diffusa e ‘sgangherata’ della piana sta distruggendo, senza lasciare traccia di memoria. Se quel rapporto – città e campagna – è oggi inesorabilmente mutato, tuttavia è necessario che la elaborazione critica di quella memoria  – anche a livello di pratiche urbane – non vada perduta.

Di tale rapporto vanno trovate forme nuove, salvando con creatività innovativa una storia pregressa, impedendo consumi di suolo che non sappiano unire passato e futuro. Di Piazza Terzi e del suo Mercato si dovrebbe fare una preziosa risorsa: per fondare allo stesso tempo la testimonianza viva di un passato ancora vivo nella memoria collettiva della città e la sua interpretazione verso una vivacità di relazioni, di scambi, di nuovo luogo di vita – direi di mercato e di teatro, di incontri e di vita collettiva – di cui Sarzana ha bisogno per rinnovarsi nelle forme di vita urbana.

Invece della demolizione si può assai più utilmente e felicemente pensare l’edificio esistente come spazio dal quale muovere per costruire, con fertile proposta innovativa, un momento di nuova, pubblica, identità urbana, tra passato e futuro.    

Arch. Silvano D’Alto

già docente di “Sociologia urbana e rurale” e di “Sociologia dell’Ambiente” all’Università di Pisa

membro del Comitato scientifico della Fondazione Michelucci di Firenze

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Data
mercoledì, 23 giugno 2010

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